Studi

 

Sandro Botticelli, Punizione dei ribelli, part. con l'arco di Costantino

 

Maurizio Nicosia

L’arco di Costantino nel Rinascimento

 

Non v’è studio sulla fine dell’arte antica che non ponga in esordio l’arco di Costantino. Dopo il fortunato ed eloquente saggio di Bernard Berenson degli anni ’50, L’arco di Costantino o della decadenza della forma, è d’obbligo indicare nei fregî scultorei dell’arco gl’incipienti sintomi d’una narrazione popolaresca, «plebea», insofferente o indifferente alle plastiche e aggraziate volumetrie del linguaggio classico e alle sue complesse articolazioni spaziali. Berenson, che del Quattrocento era uno dei massimi conoscitori, metteva a frutto le letture dei Commentarî di Ghiberti, l’autore della nota formella bronzea che fu preferita nel 1401 a quella del giovane Brunelleschi. Ghiberti, con notevole acume critico e penetrante sguardo di scultore, individuava nell’arco di Costantino «la fine dell’arte antica».
Prima che il giudizio si trasformasse in condanna senza appello nel critico moderno, i più eminenti architetti del Quattrocento, dallo stesso Brunelleschi ad Alberti, lo vollero verificare con gli strumenti dell’Arte: squadra, compasso e Senso della Misura. Corroborati dall’intenso studio del ritrovato testo di Vitruvio, si recano a Roma per misurare con precisione d’architetto e d’archeologo, elementi, strutture ed edificî dell’architettura romana, e naturalmente l’arco di Costantino.
Gli studî si protrassero per buona parte del secolo, sino a quando all’arco si offre infine un ruolo da protagonista nella cappella Sistina. Qui, prima che la volta s’affollasse di Sibille michelangiolesche, sotto il coronamento d’un limpido e azzurro cielo stellato, l’arco di Costantino assurge a maestoso scenario degli affreschi di Botticelli
(sotto) e Perugino.

Nei due affreschi, cui i celebri pittori lavorarono nello stesso lasso di tempo, la prospettiva spaziale si dilata con gli archi costantiniani sino a comprendere volutamente la prospettiva storica: dopo le vicende vetero e neo testamentarie in primo piano, l’età di Costantino, compendiata dagli archi sullo sfondo, suggella l’affermarsi del messaggio cristiano e della chiesa cattolica. L’arco trionfale dell’imperatore coincide quindi con il trionfo del cristianesimo e rappresenta l’anello di giunzione (harmós, ‘giuntura’) storica e culturale tra la Roma pagana e la cristiana.

Perugino, (sopra) che lo rimodella con una certa libertà entro la gabbia quadrata, ne dipinge addirittura due. In una delle due epigrafi Sisto IV viene celebrato come il nuovo Salomone, il nuovo costruttore del Tempio. Nella figura che regge un compasso si è voluto riconoscere l’architetto del progetto sistino, Dolci, mentre è rimasta senza nome la figura che lo affianca, con la squadra nella sinistra e la destra tesa al compasso di Dolci (vedi l’Album). Suppongo che si debbano vedere nei due, sia o no Dolci il primo, l’architetto e il suo assistente. È a questo architetto che si devono forse le calibrate misure dell’arco di Costantino dipinto da Botticelli, il pittore nutrito alla mensa neoplatonica fiorentina.
Nel suo affresco, che lampeggia di lumeggiature bronzee, affiora una nitida e rigorosa ricostruzione dell’arco di Costantino, frutto d’un circostanziato rilievo architettonico il cui significato va certamente oltre la precisione antiquaria e filologica. La funzione allegorica dell’arco, di giunzione dell’età pagana e cristiana, si carica d’ulteriori valenze. Nella ricostruzione fedele e meticolosa della complessa partitura proporzionale dell’arco è implicita la rivendicazione d’un più nobile ruolo dell’artista che, sulla scia della dottrina pitagorico platonica dell’armonia, concreta con l’architettura l’ordine celeste in terra. Se Sisto IV è l’erede della chiesa di Costantino, l’architetto della sua cappella è l’orgoglioso erede di Vitruvio. Se Sisto IV è il nuovo Salomone, egli è il suo nuovo Hiram.

 


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