1. Chiamato delta dai pitagorici e dai platonici per l’analoga forma con la lettera maiscola greca, va meditato in grado d’apprendista come principio e fine del viatico: sintetizzando il rapporto tra l’Uno (il vertice, costituito da un solo punto) e il molteplice (la base, di n punti), indica sia il percorso cosmogonico originario che conduce alla molteplice varietà dell’universo, sia il percorso inverso, fine dell’iniziazione, che riconduce il molteplice all’Uno, secondo il motto massonico: «riunire ciò ch’è sparso».
  2. «Il principio costituisce più che la metà del tutto»: ARISTOTELE, Etica nicomachea, Milano 1987, Rusconi, I, 8, 1098B.
  3. Con arte della memoria si indicano quei metodi scaturiti sin da età antica, quando i libri non erano tascabili, e l’efficace organizzazione del discorso era fondamentale per il poeta, il retore, il giureconsulto, il politico. La prima straordinaria diffusione di quest’arte coincide con la stagione democratica ateniese, quando l’efficacia del discorso era determinante per convincere l’areopago. I famosi sofisti insegnavano a organizzare efficacemente il discorso e, naturalmente, a ricordarlo. Il sistema più noto utilizzava luoghi e immagini: il discorso veniva immaginato come un percorso entro un tempio o un altro edificio, reale o immaginario, e in questo luogo si collocavano immagini associate agli argomenti del discorso. La trattatista antica ha conservato diversi testi di arte della memoria, fra cui Cicerone e Quintiliano. Possiamo distinguere grosso modo tre fasi nell’arte della memoria: quella antica, fase retorica, in cui la memoria ha la specifica e limitata, se pur importante funzione di conservare l’ordine del discorso e del sapere; la seconda fase s’avvia nel Rinascimento, con Giulio Camillo, Giordano Bruno e Robert Fludd, in cui l’arte della memoria acquista una precisa significazione ermetica, e invece di conservare il sapere, lo organizza e lo crea: nella memoria si rispecchia l’ordine macro-microcosmico che congiunge l’uomo e l’universo. Attraverso la memoria, dunque, si giunge alla sapienza. La stessa struttura mnemonica è profondamente diversa: non più per luoghi e immagini, è organizzata secondo un criterio cosmogonico che dall’Uno, centro e origine di tutte le cose, muove per gradi al molteplice, posto inevitabilmente in periferia, al margine della circonferenza; quindi sistemi radiali e monocentrici. La terza fase, che possiamo chiamare scientifica, comincia con Francesco Bacone e vede nella memoria lo strumento di organizzazione della ricerca nel campo della filosofia naturale. La mia sintesi non poteva non essere, data la mole dell’argomento, schematica; per ulteriori approfondimenti si vedano: YATES F. A., L’arte della memoria, Torino 1972, Einaudi, YATES F. A., Giordano bruno e la tradizione ermetica, Bari 1985, Laterza, ROSSI P., Clavis universalis. Arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Bologna 1983, Il Mulino, ROSSI P., a cura di, La memoria del sapere, Bari 1988, Laterza-SEAT, testi fondamentali sull’argomento; utile anche ROSSI P., Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Torino 1974, Einaudi, per approfondire l’arte della memoria baconiana come strumento d’indagine scientifica. Segnalo anche SVIZZERETTO S., POZZESI P., Magia della «Tempesta» nel teatro della memoria, Roma 1986, Atanòr, non per il saggio dei due autori, che compendiano non brillantemente i testi che ho già citato, quanto perché in appendice vi sono stralci di un interessante testo sulla memoria di Fludd, ermetista e alchimista inglese che può aver influenzato la disposizione del tempio nella massoneria speculativa: i suoi teatri cosmici della memoria sono retti da due colonne e hanno sul tetto il cerchio stellato dello zodiaco.
  4. G. BRUNO, De umbris idearum, 1582 (Le ombre delle idee), Milano 1988, Spirali, p. 41. Lo afferma un suo personaggio, emanatore di logos (Logifero), in uno dei suoi testi più ermetici di arte della memoria che contiene istruzioni e concetti per creare sistemi concentrici divisi radialmente in trenta parti. La stessa idea dell’ombra, che dà titolo al testo, ha questa funzione perché, spiega Bruno, è sia luce che tenebra e al contempo non è né l’una, né l’altra. L’ombra è per il Nolano il terzo, necessario polo mediatore degli estremi: essa esprime in massimo grado la concezione esistenziale dell’uomo. Superfluo ricordare a un iniziato apprendista la funzione simbolica della luce e delle tenebre nella massoneria. In De gli eroici furori Bruno afferma che la luce divina, sempre presente nelle cose, è stata descritta da Salomone come colei che «batte alle porte dei nostri sensi».
  5. Si veda il citato ROSSI P., Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, in particolare i capp. VI. 5 e VI. 6, sulla dottrina delle tabulae e la mnemotecnica baconiana. Già Aristotele nell’Etica nicomachea aveva introdotto l’uso delle tavole per stabilire difetti ed eccessi nella virtù. Spiaccia o no ma per intendere il sistema etico massonico è necessario approfondire questo testo aristotelico. La virtù è il fine dell’attività umana e sociale, della polis: «il bene è ciò verso cui ogni cosa tende» (I, 1, 1094A; il bene «praticabile») e tutte le attività che coordinano le altre in vista di questo fine Aristotele le chiama «architettoniche»: parafrasandolo, si direbbe che si tratta di «innalzare templi alla virtù». La virtù è superiore, ma anch’essa è imperfetta -spiega Aristotele: «è possibile che chi possiede la virtù si trovi in stato di sonno» (I, 1, 1096A). Per lo Stagirita la virtù deve tendere al mezzo: in ogni attitudine umana la virtù consiste nell’evitare eccesso e difetto: «se i buoni artefici… lavorano tenendo di mira il mezzo, e se la virtù è più esatta e migliore di ogni arte, come anche la natura, essa dovrà tendere costantemente al mezzo» (II, 6, 1106B). Se quindi l’obiettivo è «d’innalzare templi alla virtù», è inevitabile che si giunga a conquistarla solo in camera di Maestro, la camera di mezzo. E ciò spiega perché la camera di maestro della massoneria azzurra sia definita così, malgrado sia ’finale’. Tornando a Bacone, le sue tavole rovesciano la metodica deduttiva di Aristotele, sì da consentirci di vedere l’origine della tavola massonica in termini aristotelici sul piano dell’etica, e baconiana sul piano della metodologia di ricerca.
  6. Dopo la compilazione delle tavole, Bacone intendeva trattare i nove aiuti all’intelletto, che avrebbero dovuto perfezionare il lavoro ottenuto con le tavole: un ulteriore esempio dell’organizzazione geometrica del pensiero e della ricerca.
  7. Ashmole era stato iniziato il 16 ottobre 1646 in una loggia del Lancashire, a Warrington, loggia che in tempi di repubblica cromwelliana, aveva fratelli sia monarchici, come Ashmole, che repubblicani come suo cugino Manwaring: concretissimo esempio dell’antica tolleranza massonica. Moray era stato iniziato nella loggia di Edimburgo, in Scozia, il 20 maggio 1641. Le logge erano già operanti al momento della loro iniziazione. Cfr. YATES F. A., L’illuminismo dei Rosacroce. Uno stile di pensiero nell’Europa del Seicento, Torino 1976, Einaudi, alle pp. 247 e 248, nel cap. Rosacrocianesimo e massoneria. Sappiamo anche degli interessi di Ashmole per la letteratura rosacrociana e per l’alchimia; alla sua penna dobbiamo una delle più importanti antologie degli alchimisti inglesi, il Theatrum chemicum britannicum, che Newton, afferma il suo biografo Manuel, «lesse e rilesse più volte attentamente» (MANUEL F. E., A portrait of Isaac Newton, Cambridge 1968, pp. 160-190).
  8. «La Royal Society ebbe molti nemici in quei primi anni; non appariva chiaro quale fosse la sua posizione religiosa…La regola di non discutere nelle riunioni questioni religiose, dev’essere sembrata una saggia precauzione e l’insistere nei primi anni sulla sperimentazione, sulla raccolta e la verifica dei dati scientifici, secondo i principî di Bacon, guidò gli sforzi della società»: YATES F. A., L’illuminismo dei Rosacroce…, cit., p. 224.
  9. Sprat, lo storico della Royal Society, cita Wren tra i protagonisti nelle riunioni d’organizzazione della società. Che Wren fosse Gran Maestro della massoneria operativa è affermato, senza indicazione di fonti, da FAGIOLO M., Architettura e massoneria, cit., scheda 40 (la fonte di Fagiolo è molto probabilmente Quirico Filopanti, Dio liberale, testo in cui l’autore definisce Wren «Presidente della Frammassoneria inglese»: ma A. Reghini, I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, Roma 1988, p. 129, definisce la sintesi scientifica e storica di Filopanti «molto fantasiosa»). Nel testo di Fagiolo si afferma che la cattedrale di S. Paolo, a Londra, è stata inaugurata con «rito massonico». Wren (1632-1723), oltre che architetto era anche fisico. Dedicatosi agli studi scientifici, divenne uno dei maggiori matematici e astronomi del tempo: incarna l’ideale architetto vitruviano. Dopo il grande incendio del 1666 Wren Fece parte della commissione per la ricostruzione della City di Londra e progettò un razionale piano regolatore, di evidente orma vitruviana, che tuttavia non fu realizzato; ebbe comunque l’incarico di sovrintendere alla ricostruzione delle chiese della City devastate dal fuoco: un cospicuo gruppo si rifà allo schema basilicale secondo Vitruvio o ad altre fonti romane. A Greenwich iniziò nel 1696 il grandioso complesso del Royal Hospital. Modificò il progetto iniziale per consentire la vista, nella distanza, della Queen’s House di Inigo Jones. Il progetto dell’edificio per il primo museo pubblico d’arte del mondo, organizzato da Elias Ashmole, reca la firma di Wren.
  10. Vitruvio (sec. I a.C.), architetto e trattatista romano. Fu autore del De Architectura, in dieci libri, dedicato ad Augusto, il più celebre trattato del genere nell’antichità e l’unico pervenutoci: sull’esempio di analoghi testi greci, l’opera svolge l’intera problematica architettonica, dalla struttura della città ai materiali da costruzione. Nel Medioevo accomunato ai testi che trattavano il simbolismo numerico, come il Somnium Scipionis di Cicerone e i trattati sulla musica di Agostino e Boezio (RYKWERT J., La casa di Adamo in paradiso, Milano 1976, Mondadori, p. 119), dopo la riscoperta di Poggio Bracciolini del 1414 il testo vitruviano godette nel Rinascimento di enorme fortuna, testimoniata dalle numerose edizioni, spesso illustrate, e costituì imprescindibile modello per la trattatistica architettonica, dall’Alberti al Palladio.
  11. James ANDERSON, Le costituzioni dei liberi muratori, 1723, Foggia 1974, Bastogi, p. 77. Il pastore in questo caso citava Colin Campbell senza menzionarlo, il primo trattato che è all’origine della riscoperta di Vitruvio e Palladio. Lo Scozzese Campbell, nel suo Vitruvius britannicus del 1715, affermava che «Palladio ha superato tutti quelli venuti prima di lui», ma che «gl’Italiani sono completamente attratti da capricciose decorazioni»; invece «Palladio e il nostro architetto Inigo Jones hanno mostrato la via da seguire».
  12. Mi riferisco a Joan de Laet, M. Vitruvii Pollionis De Architectura libri decem cum notis…Guglielmi Philandri integris, Danielis Barbari excerptis...; Praemittuntur Elementa Architecturae collecta ab illustri viro Enrico Wottono eequite anglo...;, Amsterdam 1649. Daniele Barbaro, veneziano, era l’autore della fondamentale edizione del 1556 realizzata a quattro mani con Andrea Palladio. Ambasciatore veneziano in Inghilterra, noto per la sua relazione sugli inglesi, era d’impostazione aristotelica. Il suo commento a Vitruvio è amplissimo. Henry Wotton, ambasciatore inglese a Venezia, poeta e intimo amico del neoplatonico John Donne, era un fervente cultore di Vitruvio e anch’egli legato al principe palatino ed Elisabetta Stuart, i protettori del pensiero rosacrociano.
  13. In WITTKOWER R., Principî architettonici nell’età dell’Umanesimo, Torino 1979, Einaudi, p.70. Sulla virtù vedi anche nota 6.: l’aristotelismo di Barbaro e Palladio è l’origine di questa concezione, certamente derivata dall’«Accademia della virtù», fondata a Roma da Claudio Tolomei con lo scopo di chiarire i passi incerti di Vitruvio. Nel 1547 Tolomei è a Padova e viene pubblicato contemporaneamente a Venezia il programma della sua accademia vitruviana.
  14. Palladio risulta iscritto alla corporazione dei muratori vicentini dall’aprile 1524. Nel 1542 è ancora definito «lapicida». Dal 1545 in poi è chiamato regolarmente architetto. Cfr. WITTKOWER, op. cit., p. 62.
  15. Famosa è la sua poesia «alla Sua Signora, la regina di Boemia», in cui paragonò Elisabetta Stuart, la protettrice di ermetisti e alchimisti d’impronta rosacrociana, alla rosa. Fu scritta a Greenwich dove Inigo Jones costruì, probabilmente in suo onore, la Queen’s House. Quando lì Cristopher Wren edificò il Royal Hospital, modificò il progetto originario perché si vedesse la Queen’s House: duplice omaggio all’architetto, e alla regina.
  16. YATES F. A., L’illuminismo dei Rosa Croce, Torino 1976, Einaudi, p. 15.
  17. «Il monumento principale che riassunse in parte le idee massoniche e neoplatoniche fu l’eroico rifacimento della facciata di S. Paolo da parte di Inigo Jones, che ne fece una grande chiesa metropolitana e un adeguato contrappeso ’augusteo’ (cioè vitruviano, N.d.A.) al progettato palazzo reale, di cui la Banqueting Hall costituì una prima parte e rispetto al quale il Covent Garden sarebbe stato il terzo polo». Cfr. RYKWERT J., The First Moderns, Cambridge 1980. Evidente, per chi leggerà il seguito, che la triade sia concepita in modo da comprendervi i tre generi dell’architettura vitruviana: la defensio, in questo caso l’autorità governativa, la religio, l’autorità religiosa, e la opportunitas, che concerne gli edifici pubblici come i teatri -che Vitruvio tratta per primi in questo gruppo- qual è il Covent Garden. Non ancora completato il progetto, l’incendio del 1666 distruggerà ciò che aveva realizzato Inigo Jones. Toccherà a Wren ricostruire la cattedrale di S. Paolo. E nel suo piano, non attuato, oltre a strutture vitruviane inserirà incroci che in pianta si rivelano come intrecci di squadra e compasso.
  18. Fra i tanti FAGIOLO, op. cit.: «Nel 1723 il palladianesimo diviene, per dir così, l’Architettura di Stato della Massoneria»; meno decisa, più precisa la YATES, L’illuminismo…, op. cit., p. 252: «sembra probabile -e questo punto viene normalmente messo in rilievo dagli storici massoni- che la massoneria «speculativa», e il suo graduale distinguersi dalla massoneria «operativa», iniziasse con il risvegliarsi dell’interesse per Vitruvio e per l’architettura classica».
  19. ANDERSON J., The Constitutions of the FreeMasons Containing the History, Charges, Regulations,etc., of that Most Ancient…Fraternity, Londra 1723.
  20. CASTELL R., M. Vitruvii Pollionis De Architectura libri decem, cum anglica versione et variorum commentariis tam editi, quam Inigo Jones et aliorum ineditis, multisque figuris et iconibus…, Londra 1730.
  21. VITRUVIO MARCO POLLIONE, Dell’architettura, libri I-X, Milano 1829, trad. Di Carlo Amati, I, I, 11. Do di seguito ampî stralci sull’architettura e l’architetto: «L’architettura è una scienza ch’è adornata da più dottrine. Ella nasce dall’esperienza non meno che dal raziocinio. Chi fa professione di Architetto bisogna che sia uomo di talento, e riflessivo nella dottrina: perché né talento senza disciplina, né disciplina senza talento non possono rendere perfetto un’artefice. Sia perciò egli letterato, esperto nel disegno, erudito nella geometria, e non ignorante d’ottica, istruito nell’aritmetica, siangli note non poche istorie, abbia udito con diligenza i filosofi, sappia di musica, non ignori la medicina, abbia cognizione delle leggi dei giurisprudenti, intenda l’astronomia e i moti del cielo (I, I, 7 quindi enumera le ragioni). La Filosofia poi fornisce l’Architetto d’animo grande, e fa ch’egli non sia arrogante e, ciò che maggiormente importa, che egli non sia avaro (tronco della vedova, metalli); perché non può degnamente farsi niun’opera se non da chi sia sincero e incorrotto. Non sia egli parziale, né abbia l’animo dedito a ricevere doni, ma con gravità sostenga il proprio decoro… (I, I, 9). Gli Antichi primieramente non commettevano opere se non ad Architetti di buona famiglia: quindi s’informavano se fossero onestamente educati (liberi e di buoni costumi). Ancora i medesimi artefici non altri ammaestravano se non i proprî figlioli, o congiunti, e li formavano uomini probi, a’ quali senza tema veruna affidar si potesse il danaro in cosa di sì grande importanza (VI, pref. 167).
  22. Le immagini di uomini ad arti distesi inscritti nel cerchio, così diffuse in età rinascimentale, inclusa quella di Leonardo, sono di origine vitruviana.
  23. Tra i tanti esempî, Vitruvio descrive le fasi di realizzazione di un’abitazione privata, mostrando concretamente di applicare le seguenti tre triadi di concetti, che parecchio hanno a che fare con la tavola tripartita:

    Firmitas

    Venustas

    Utilitas

    Symmetria

    Eurythmia

    Decor

    Ordinatio

    Dispositio

    Distributio

    In primo luogo, spiega, si stabiliscono i criteri proporzionali (ordinatio o composizione dei singoli elementi); poi si passa all’esecuzione della pianta in larghezza e lunghezza (e questa è la dispositio); ciò fatto si provvede al decor (che è come dire distributio).

  24. Qui si chiarisce il rapporto micro-macrocosmico tra uomo e universo, in cui la città è il terzo, mediano polo: «sembra esser composta armonicamente la macchina di questo Mondo per l’obliquità del Zodiaco, e con molta consonanza mediante gl’influssi del Sole» ( VI, I, 169). Dunque determinare l’assetto urbanistico della città, disposta sui punti cardinali, rispecchia «l’armonia del zodiaco».


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