Anna Maria Isastia
recensisce

Massimo della Campa, Giorgio Galli
La massoneria italiana. Grande Oriente: più luce. Due opinioni a confronto
Milano, Franco Angeli, 1998

Un politologo e un avvocato quale competenza hanno per parlare di massoneria? Parecchia se l’avvocato è un uomo di cultura, testimone di molti degli avvenimenti narrati e se il politologo, dall’esterno, disegna una mappa critica degli avvenimenti in cui la massoneria è stata coinvolta a torto o a ragione.
Diciamo subito che i capitoli più interessanti tra quelli firmati da Massimo della Campa sono a nostro avviso quelli che attraversano gli anni dalla gran maestranza Gamberini alla gran maestranza Gaito. Non siamo in presenza di un testo di storia. Queste pagine vanno lette come una testimonianza, come una fonte: in altre parole ci troviamo di fronte ad un diario, a delle memorie quale che sia il titolo del libro.
Tralascio i capitoli iniziali che sarebbe stato forse più opportuno non scrivere proprio. Ci troviamo infatti in presenza di un ennesimo centone di inesattezze riprese da testi a loro volta poco affidabili: notizie di seconda o terza mano mai verificate sui documenti. Su due punti non posso però tacere: come si fa a parlare di massoneria deviata per tutta la storia dell’istituzione fino al riconoscimento inglese del 1972? Non è un po’ esagerato e forse antistorico?
Lo spirito critico fa difetto ai massoni e soltanto la ricerca scientifica può spiegare il senso di un impegno sociale vasto e significativo che rende comprensibili le motivazioni di chi entrava in massoneria in età liberale mentre si fa più fatica a trovare risposte alla domanda su che cosa cercano e/o trovano oggi i fratelli nell’appartenenza a questa istituzione. Non a caso tra quelli «che ci credono» serpeggia una grande inquietudine.
La seconda questione è invece legata alla nascita a Roma nel marzo del 1877 della loggia Propaganda massonica voluta dal Gran Maestro Giuseppe Mazzoni che ne era anche il Venerabile. Fu creata per permettere ai fratelli con incarichi di lavoro a Roma, ma la residenza lontano, di poter essere massoni attivi. Chiunque abbia studiato gli elenchi della matricola generale del Goi si è reso conto che non si trattava di una loggia segreta. I nominativi dei fratelli iniziati in questa loggia sono infatti mischiati a quelli di tutti gli altri. La particolarità era data dal fatto che le iniziazioni venivano fatte durante lo svolgimento delle Giunte e che vi entravano solo personaggi di spicco.
Ben diverso è l’interesse che meritano invece le pagine che trattano la storia del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani nel secondo dopoguerra: dalla politica filoamericana di Publio Cortini alla lunga marcia di avvicinamento agli inglesi operata da Giordano Gamberini. Molte pagine sono dedicate a raccontare le vicende di Palazzo Giustiniani e a spiegare il lungo travaglio della P2; l’adozione in Italia del rito di York e le complesse vicende che hanno visto il Goi ora attaccato dagli americani ora dagli inglesi. Le grandi maestranze di Salvini, Battelli, Corona, Di Bernardo, Gaito sono raccontate da un coprotagonista!
E’ invece l’avvocato che racconta le incredibili vicende legate alla lunga ed inconsistente inchiesta del giudice Cordova. Colpisce il fatto che dopo aver condannato con la testa tutta la massoneria italiana che ha preceduto la gran maestranza di Gamberini, della Campa si lasci andare a un elogio di quella stessa massoneria, nel momento stesso in cui Gamberini decise di recidere i legami col passato.
Scrive infatti della Campa: «Voltate quindi le spalle al vecchio continente....Gamberini impresse ai suoi atti un’impronta sempre più filo inglese. L’orientamento dei fratelli del Grande Oriente, rafforzatosi nel tempo, era ancora ben chiaro ed individuabile. Forte sentimento patriottico; intransigente laicismo; sensibile attenzione per i più deboli; difesa della libertà e dei diritti umani; stimolo verso, e confronto con, quella che si è poi chiamata la società civile; innegabile senso dello Stato... Le condizioni socio-ambientali erano nel frattempo mutate profondamente; ma l’allontanamento dall’antico tradizionale spirito libero-muratorio italiano fu accompagnato dall’allentamento dei freni. Il livello morale si abbassò...»
Dunque anche della Campa concorda sul fatto che l’abbandono delle radici storiche che avevano alimentato l’appartenenza alla comunione non ha giovato al Goi!
Completamente diversa la seconda parte, quella firmata da Giorgio Galli, che ripercorre la storia dell’Italia del secondo dopoguerra alla luce della «trama massonica» cercando di chiarire al lettore se e quale ruolo essa abbia svolto nelle vicende più oscure: da Gladio a De Lorenzo, dal golpe Borghese a Gelli, a Moro.
La sua conclusione è che l’obbedienza di Palazzo Giustiniani «non ha avuto un ruolo né di promotrice, né di protagonista nelle iniziative e nei progetti eversivi, pur se singoli massoni, anche autorevoli, vi hanno preso parte...La stessa documentazione conduce ad analoga conclusione per quanto riguarda la obbedienza di piazza del Gesù».
Condivido anche le considerazioni che seguono e sulle quali i fratelli dovrebbero operare una seria riflessione: «Escluso il ruolo di promotrice e/o protagonista, la massoneria storica di Palazzo Giustiniani, della quale particolarmente qui si tratta, e il suo vertice, hanno una responsabilità di gestione politica, lunga decenni, responsabilità sotto un duplice profilo: in primo luogo hanno accettato di far apparire l’istituzione come un soggetto comprimario sulla scena politica; e, in secondo luogo, non hanno voluto o saputo fare chiarezza, con una franca assunzione di responsabilità, per quella scelta [Galli la chiama millantato credito] quando la scelta stessa ha dato luogo a interpretazioni che hanno dato all’istituzione l’immagine di cui fatica tuttora a liberarsi, sino alla presunzione di una sistematica attitudine all’illegalità e addirittura a rapporti con il crimine organizzato».
Parole chiarissime che spiegano perché dagli anni Settanta l’interpretazione che lega mafia-massoneria-Cia-servizi segreti deviati sia diventata un assioma scontato. Di chi la colpa? Secondo Giorgio Galli la colpa non è della gente, ma proprio del comportamento dei vertici di Palazzo Giustiniani.
Ma gli anni settanta non sono anche quelli della grande svolta del Goi, dell’abbandono della tradizione latina a favore di quella anglosassone? Non sarebbe opportuno che i fratelli italiani si interrogassero seriamente sulla loro storia?
Perché non aprire un dibattito su Zenit per sentire cosa ne pensano i fratelli sui cambiamenti avvenuti dagli anni ’70 agli anni ’90 e sulla realtà odierna del GOI?

Anna Maria Isastia


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