Studi

 

 

Maurizio Nicosia

 

Il Sepolcro Di Osiride

Le Origini Storiche Del Rito Scozzese Antico Accettato
E Della Leggenda Di Hiram

 

Le origini storiche del RSAA

Sembra impossibile rintracciare le origini del Rito, secondo l’autorevole opinione di Clausen, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio di Charleston. Agli atti della storia è la costituzione nel 1732 della Loggia L’Anglaise a Bordeaux 1, che figlia in breve tempo cinquanta Logge nel territorio della Garonna e a Parigi. Nel ’37 la segue a Tolosa la Loggia Les Ecossais fidèles, nel ’40 sorge la Francaise, rinominata poi Francaise elue ecossaise. Queste Officine fondate da Massoni «inglesi» si costituiranno in corpo regolare, noto come Rito di Perfezione, ordinato in venticinque gradi e sancito dalle costituzioni del 1762: sarà questa la colonna vertebrale del Rito Scozzese. «Il nome di ’Ecossais’ o ’Scozzese’ con cui si denominavano questi gruppi -aggiunge Clausen- non aveva alcun riferimento alla Scozia» e questa è in genere l’opinione invalsa nella maggioranza degli studiosi del Rito.
Protagonista della diffusione del Rito nel mondo è Étienne Morin, nativo della cittadina francese. Quando salpò da Bordeaux con il brevetto che gli conferiva il potere di diffondere corpi e Logge, c’informa Clausen, «il viaggio fu interrotto quando gl’Inglesi sequestrarono la sua nave. Condotto a Londra, fu liberato perché privato cittadino». Può apparire curioso che Morin, con un brevetto rilasciato da «Massoni inglesi», sia trattenuto da Inglesi. Ma è ancor più curioso che «Scozzese» non abbia riferimenti con la Scozia, che il Rito sorga da Massoni «inglesi», che fanno di ’scozzese’ ’scozzese fedele’ ’scozzese eletto’ il loro tratto distintivo, e sorga a Bordeaux, in una città di dominio inglese per tre secoli (1154-1453), la cui cattedrale è consacrata al patrono della Scozia, S. Andrea.  
Morin, ricorda Clausen, «era della Chiesa Romana Cattolica come del resto quasi tutti i primi Massoni francesi». Nel 1763 gl’Inglesi avevano tutte le ragioni di fermare un cattolico con un brevetto «scozzese»: costretto all’esilio nel 1688 Giacomo II Stuart, il re scozzese e cattolico, i suoi aristocratici fedeli, i giacobiti, s’erano rifugiati in Francia tentando a più riprese la restaurazione stuarda; il loro ultimo e più eclatante tentativo risaliva al 1745, quando erano rientrati nella capitale scozzese con 2.000 soldati e avevano vinto tre battaglie consecutive contro gl’Inglesi prima d’essere sconfitti.
Gl’Inglesi dovevano essere al corrente delle attività giacobite in Francia, e le dovevano temere. Giacomo II si era rifugiato nei pressi di Parigi ai tempi della repubblica di Cromwell. Il re cattolico, che era massone 2, vi tornò nel 1688 e da quel momento le Logge «Scozzesi» proliferano. La prima Officina parigina era condotta da Charles Radcliff, conte di Derwentwater e nipote di Giacomo II; verrà giustiziato dagl’Inglesi proprio in seguito alla ribellione del 1745, di cui era uno dei protagonisti.
La scelta di Bordeaux, per gli Scozzesi stuartisti, è di estrema logica: porto che sbocca sull’Atlantico, non distante dalla cattolicissima Spagna, ha consuetudine con gli Scozzesi al punto da condividerne il protettore, S. Andrea. Poco più su, sulle rive dell’alta Garonna, dove fioriranno gli «Scozzesi fedeli», Tolosa offriva analoghe garanzie: roccaforte cattolica nella guerra dei Trent’anni, si era ’distinta’ a metà ’500 per il massacro di 4.000 protestanti ugonotti. Degli esuli cattolici, lì, non avevano da temere.  
L’anno precedente l’esilio Giacomo II aveva rinnovato totalmente l’antichissimo Ordine del Cardo, nato in Scozia nell’VIII secolo, ponendolo sotto la protezione di S. Andrea, creando così l’Ordine di S. Andrea del Cardo e facendone il secondo per dignità degli ordini cavallereschi britannici, dopo la Giarrettiera 3. Ai transfughi suoi seguaci, agli Ecossais fidèles che crearono un sistema di logge alle origini della Massoneria francese, veniva probabilmente conferito come ricompensa per i servigî prestati alla causa 4. Nel Rito resta inequivocabile traccia delle origini giacobite nel gioiello d’un grado desueto, il Cavaliere di S. Andrea di Scozia (a sinistra), che mantiene ’fedelmente’, è il caso di dire, le innovazioni apportate da Giacomo II: sulla tipica croce decussata di S. Andrea è un elmo cavalleresco; sotto, il cardo 5 
Nel commento al grado è consuetudine indicarne le origini templari, e comprendo che un’origine stuartista, o giacobita, appaia meno fulgida; la «tradizione» vorrebbe che dei Templari sfuggiti alla persecuzione si siano rifugiati in Scozia e abbiano respinto il tentativo d’invasione da parte del re Edoardo d’Inghilterra. Come premio ebbero l’Ordine di S. Andrea 6.
La leggenda sembra combaciare perfettamente con gl’intenti stuartisti di scalzare gli usurpatori dal trono d’Inghilterra. Probabilmente costruita ad hoc dai giacobiti per promuovere la loro causa , la leggenda templare costruita attorno al 29° grado ci conduce in realtà alle origini del Rito: alla massoneria giacobita e cattolica esule in Francia, che aveva tutte le ragioni per definirsi «Scozzese». Forse stupirà qualcuno, ma il Rito Scozzese ha origini scozzesi.  
A causa della sua conversione al Cattolicesimo, e della nascita d’un erede che avrebbe dato all’Inghilterra una dinastia cattolica, Giacomo II fu detronizzato. E così in Inghilterra la Massoneria nacque sull’onda dei rifugiati protestanti e rosacrociani, in Francia invece nacque ad opera dei cattolici giacobiti: cioè Scozzese 7.   



La piramide del Rito e la leggenda di Hiram  

Il Rito si presenta come una piramide, maestosa tomba di Hiram, al termine della quale s’eleva una «scala misteriosa» di sette gradini, analoga alla via di Eraclito «che sale e scende ed è una e la medesima». L’immagine della piramide riconduce immediatamente ai sepolcri egizî e al percorso di distacco dal corpo e ascesa che costituisce l’obiettivo dell’iniziazione. Al contempo sintetizza splendidamente la sedimentazione di tradizioni che il Rito ha tesaurizzato.  
Il progetto di riunire le scienze e le arti, che attraversa tutto il Settecento e culmina nell’Encyclopédie, ha radici nel Rinascimento, nella ricerca della lingua perfetta e nei sistemi ermetici di memoria che da Bruno giungono sino a Francesco Bacone e alla sua «Casa di Salomone». Ma mentre nell’epoca dei Lumi il progetto assume una connotazione divulgativa del sapere, già sostenuta da Leibniz 8, nel Rito resta l’essenziale impostazione ermetica d’una Sapienza accessibile solo a coloro che ne siano degni, nello spirito baconiano della Massoneria delle origini 9.
Il gradino inferiore della piramide, imponente e vistoso, è quello biblico ed ebraico. Le parole e i gioielli del Rito dispiegano un impressionante deposito di termini e caratteri ebraici, fenici e persino samaritani. Nel gioiello del 27° (a sinistra), per esempio, si legge entro un triangolo bordato la scritta in caratteri fenici YNRY 10. Ma la Bibbia, come c’insegna l’Ordine, va letta adoperando gli strumenti muratorî, squadra e compasso: come progetto di un’edificazione, di una elevazione globale dell’umanità.
In una prospettiva massonica la Bibbia diviene dunque metafora del viatico che dalla caduta originaria riconduce verso la luce. La prima tappa è Enoch, prima città della storia, costruita da Caino (Gn, 4, 17-18). Ma Enoch, che in ebraico significa ’iniziato’, è già sigillo di tutto il viatico: come figlio di Caino, incarna la nascita della prima città; come erede di Set, l’altro figlio di Adamo a cui allude il 13° grado, incarna invece l’ascesa dell’anima: «Enoch camminò con Dio e non ci fu più, poiché Dio lo rapì» (Gn, 5, 24) 11.  
Seconda tappa del viatico biblico la torre di Babele (Gn, 11, 1-9), e la conseguente parola perduta; quindi il tempio salomonico (1Re 6, 4-36; 2Cr 3, 1-7) e la sua ricostruzione a opera di Zorobabele (Esd 3, 7-4, 4; 5, 1-5); infine la Gerusalemme Celeste dell’Apocalisse, la città cubica, costruita delle più sfavillanti pietre preziose, dove gli eletti contempleranno la luce che anima in forma di tempio vivente il centro d’oro cristallino della città (Ap, 21, 9-23). Tre templî gerosolimitani, e tre tempi, scandiscono il viatico biblico del Rito.
Il gradino superiore è già meno visibile e reca una nitida impronta egizia o, a essere più cauti, neoegizia. Questo gradino a sua volta cela i lasciti ermetici d’origine alchemica e rosacrociana. Le leggende cavalleresche, come si dice a chiare lettere negli alti gradi, sono metafore della ricerca filosofale e indicano luoghi tempi e modi della trasmissione ermetica.
Esempio di questa stratificazione è il Cavaliere del serpente di bronzo (a sinistra), grado definito biblico, derivando da un episodio della storia mosaica: il profeta, ponendo su un’asta un serpente di bronzo che ha fabbricato, guarisce dalla morte (Nm, 21, 6-9). 
Qui Mosè appare metallurgo e taumaturgo. È da ricordare che la Bibbia sottolinea che «Mosè fu educato secondo tutta la sapienza degli Egiziani», dopo che la figlia del Faraone lo raccolse (At, 7, 21-22). Il mondo egizio conosceva una figura che tornava alla vita dopo avere passato la soglia della morte: Osiride, che nel gioiello è esplicitamente evocato sovrapponendo alla Tau un anello su cui s’avvolge il serpente, così che la croce diviene ansata: tipico segno della divinità egizia. E alla croce ansata si sovrappone ulteriormente l’Ouroboros, l’immagine ermetica dell’unità del tutto. Da quest’angolazione il grado è da considerarsi rosacrociano 12.  
Dei sedimenti egizî la più vistosa traccia è la stessa piramide con cui il Rito si presenta. L’altra, meno visibile oggi, è la leggenda di Hiram che nel Rito si protrae sino al 14° grado e che ha in Osiride il proprio prototipo. Il grado di Maestro matura nei primissimi anni successivi al 1730 13. Parallelamente si forma la leggenda di Hiram; nel 1725 si fa già cenno «d’un albero che sarebbe spuntato dalla tomba di Hiram» in un libello antimassonico. La leggenda è nota: Hiram cade sotto i colpi di suoi fratelli traditori mentre sta per uscire dal tempio. Solo lo sforzo congiunto di tre fratelli lo farà rinascere. Cumont, studioso di religioni dell’età greco-romana, descrive così la vicenda di Osiride, seguendo la narrazione di Diodoro Siculo: «il dio all’uscita del tempio cadeva sotto i colpi di Set (suo fratello, N.d.A.); si simulavano attorno al suo corpo le lamentazioni funebri, lo si seppelliva secondo i riti: poi Set era vinto da Orus, e Osiride, a cui la vita era resa, rientrava nel suo tempio dopo aver trionfato sulla morte. Lo stesso mito era rappresentato a Roma. Iside oppressa dal dolore cercava in mezzo ai pianti desolati dei preti e dei fedeli il corpo divino d’Osiride le cui membra erano state disperse da Tifone (altro nome di Set). Poi ritrovato, ricostituito, rianimato il cadavere si sprigionava una lunga esplosione di gioia» 14.  
Tra i molteplici riti d’iniziazione dell’antichità quello imperniato sulla morte e rinascita di Osiride è certamente il più prossimo alla leggenda hiramita, e tra i più conosciuti. Con la traduzione ficiniana del Corpus Hermeticum -che nel ’500 conobbe ben sedici edizioni- e l’assimilazione di Ermete a Mosè, la fortuna dell’Egitto e delle sue divinità vede un crescendo trionfale sino all’inizio dell’Ottocento: Iside e Osiride approdano persino negli appartamenti papali del Vaticano 15.
Nel 1791 va in scena a Vienna il Flauto magico di Mozart e Schikaneder. Il protagonista è Sarastro, gran sacerdote del sole e capo dei sacerdoti di Osiride e Iside, che inizierà Tamino. Non è un episodio isolato: a Weimar, tra il 1776 e il 1786, Goethe, altro massone, allestisce diversi spettacoli egittologici, e nel ’98 scrive il seguito del Flauto magico. Qualche anno più tardi è l’Opéra di Parigi ad allestire Les mystères d’Isis.  
L’egittofilia non riguarda solo il teatro: Cagliostro aveva fondato a Parigi la «Loggia madre dell’adattamento dell’alta Massoneria egizia» nel 1784, nello stesso anno in cui Ignaz von Born, MV della L di Mozart fonda a Vienna il «Journal für Freimaurer» (giornale del massone) e pubblica nel primo numero un lungo articolo sui misteri egizî che sarà fonte d’ispirazione per il Flauto magico. L’altra fonte di Schikaneder, per il suo libretto del Flauto magico, è Séthos, racconto romanzesco dell’abate Terrasson, del 1731, incentrato sui misteri d’Osiride e Iside, che verrà tradotto due volte in tedesco (1732 e 1777) e ristampato in Francia nel 1767, 1794 e 1812.  
Sull’onda di Terrasson Rameau scrive La naissance d’Osiris, Neumann mette in scena a Dresda Osiris e in Inghilterra non va diversamente 16. Terrasson, conoscitore di testi antichi, aveva tradotto Diodoro Siculo in sette volumi (1737-1744) e grazie al successo che l’autore aveva avuto col suo Séthos lo stesso Diodoro Siculo vanta una notevole diffusione. Dom Pernety, che si prefigge a metà ’700 di svelare l’origine ermetica dei miti egizî e greci, racconta di Osiride secondo la versione di Diodoro: Osiride è un re che concepisce il progetto «di rendere l’Universo partecipe della felicità e a tale scopo riunisce una grande armata, non per conquistare il mondo con la forza delle armi sebbene impiegando la benevolenza e l’umanità, convinto che civilizzando gli uomini... ne avrebbe meritato una gloria eterna» 17: un brano che è certamente alle origini della spedizione e dell’accampamento del 32° grado; anche la metafora cavalleresca delle Crociate rivela matrici egizie. Dom Pernety prosegue la narrazione del mito sulla falsariga di Diodoro: trucidato dal fratello all’uscita del tempio, viene vendicato da Iside che ne ricompone il corpo.  
Si sa che Dom Pernety, ex benedettino entrato in Massoneria, è all’origine del «Rito Ermetico degli Illuminati di Avignone», cui dobbiamo il 28° grado, ma è meno noto che fu chiamato a Berlino da Federico II proprio dopo aver smesso gli abiti talari e avere indossato il grembiule. Grandemente stimato da Federico, fu Conservatore della biblioteca di Berlino e membro dell’Accademia Reale delle Scienze e Belle Lettere di Prussia 18.  
Resterà al servizio di Federico sino al 1783. Il suo intento, di spiegare i miti greci ed egizî in chiave alchemica, non era nuovo. Già nel Rinascimento italiano è possibile individuare una letteratura analoga; ma Dom Pernety deve moltissimo a Michael Maier, che nel 1612 aveva pubblicato un’interpretazione dei miti greci in chiave geroglifica e alchemica 19, e qualche anno dopo l’Atalanta fugiens, un testo con analoghi propositi che s’inscrive come un diadema nella letteratura generata dai manifesti rosacrociani.  
Dom Pernety è molto onesto al riguardo: «io ho letto con attenzione parecchi trattati di Michele Majer, e ne ho trovato sì grande aiuto»; precisa inoltre come il «trattato degli emblemi», cioè l’Atalanta fugiens (1618), rappresenti «con molta chiarezza agli occhi di coloro che vedono chiaro, tutto quanto la Grande Opera ha più di segreto e di più occulto» 20. È proprio in questo testo un significativo emblema dedicato al dramma osiriaco:  

Emblema XLIV. Sui segreti della natura. 

Con l’inganno Tifone trucida Osiride e poi disperde le sue membra, ma queste l’inclita Iside raccoglie. 

M. Maier, Atalanta fugiens 
Epigramma XLIV  
La Siria ha Adone, la Grecia Dioniso, l’Egitto Osiride, ed essi sono il SOLE della Sapienza: ISIDE, madre, sorella, e sposa d’Osiride, riunisce le sue membra, fatte a pezzi da Tifone. Ma il fallo cade in mare, perdendosi nell’onde, manca perciò il solfo che il SOLFO generò

Anche in questo caso la vicenda è tratta da Diodoro Siculo. L’illustrazione, eseguita fedelmente su indicazioni di Maier, narra il dramma in tre tempi. In alto a sinistra Tifone-Seth, coperto dall’arco, ancora imbraccia la spada sanguinante, e ai suoi piedi giace Osiride smembrato. Accanto accorre Iside che rappresenta il secondo tempo del dramma: ritrova il fratello-marito e presumibilmente s’appresta a vendicarlo.   
Il terzo tempo vede sacerdoti e fedeli scoprire Osiride nel sepolcro di legno, integro e vivo, e con gli attributi regali che lo contraddistinguono nella versione di Diodoro. È un vero e proprio ritrovamento al quale partecipano tre personaggi; il contenuto della cassa, aperta da un miles romano, desta la sorpresa del secondo miles che lo affianca. Nessuno stupore, invece, nella terza figura all’estrema destra, con le vesti tipiche d’un sapiente orientale che dal Rinascimento distinguono Ermete Trismegisto 21.  
Anche nel grado di Maestro a disseppellire il corpo di Hiram sono tre persone, il Maestro Venerabile e i due Sorveglianti; e proprio i Sorveglianti esprimono stupore perché a Hiram si stacca la carne dalle ossa, cioè va in pezzi, è smembrato come il re e dio egizio. E il Maestro Venerabile sa che Hiram potrà essere destato a vita solo dallo sforzo congiunto di tutti e tre. V’è da aggiungere che tra Maestro Venerabile e Sorveglianti v’è lo stesso rapporto che corre tra i due soldati e il sapiente: i Sorveglianti... sorvegliano, al pari dei militi, e armati di spade, mentre il Maestro Venerabile è il depositario della Sapienza.   
Questa illustrazione ermetica del mito d’Osiride è con ogni probabilità alle origini della leggenda di Hiram e anche dei tratti essenziali del rituale d’iniziazione al terzo grado. Una tradizione muratoria vuole che sia stato Ashmole a creare il grado di Maestro e gli alti gradi 22. Effettivamente la leggenda del 13° grado comporta delle particolarità tali che può essere ricondotta solo ad Ashmole o a persone della sua cerchia (cfr. 11).  
E Ashmole conosceva molto bene Michael Maier. Un manoscritto inglese della Themis Aurea di Maier, del 1656, che descrive struttura e leggi della confraternita Rosacroce come se fosse un ordine cavalleresco, reca in frontespizio una dedica ad Ashmole. Proprio in apertura del Theatrum chemicum britannicum Ashmole cita Maier; lamenta l’oblio in cui sono caduti i «filosofi» inglesi perché si sono limitati a somministrare, come i Rosacroce, «la loro medicina in segreto.. Ma in altre terre straniere hanno trovato un’accoglienza più degna. Ne è testimonianza ciò che Maier e molti altri hanno fatto; il primo venne dalla Germania a vivere in Inghilterra, allo scopo di poter capire la lingua inglese, per tradurre l’Ordinall di Norton in versi latini, come fece con acume e dottrina: però (sia detto a nostra vergogna) l’accoglienza che gli riservammo fu pessima per uno studioso tanto meritevole» 23 
Nell’Ordinall di Norton si racconta d’un alchimista che si rifiuta d’iniziare un re insufficientemente preparato; minacciato di morte dichiara di preferire la morte piuttosto che tradire il segreto 24. Quindi se all’emblema di Maier con il ritrovamento di Osiride aggiungiamo l’Ordinall, che proprio il Tedesco aveva voluto tradurre, abbiamo gli elementi necessarî e sufficienti per la leggenda di Hiram. Ed entrambi gli autori sono ben noti ad Ashmole 25.  
Considerando l’importante ruolo che Ashmole ebbe nella Royal Society, dove venne accettato dopo la pubblicazione della sua antologia alchemica; considerando la sua figura d’antiquario e archeologo, cui si deve il primo museo d’arte e archeologia pubblico del mondo, nonché i suoi studî privati, l’ipotesi che a lui e alla sua cerchia -certamente membri di quel «Collegio Invisibile» che resta alle spalle della Royal Society- si debbano il terzo grado e altri alti gradi, è più che probabile: l’opera di «tesaurizzazione» Ashmole l’ha praticata in ogni campo, per mezzo secolo. Ed è più che un’ipotesi.  
È forse l’unica possibilità per alleviare il dubbio che continuamente ci assale quando si definisce la Massoneria «un sistema morale velato da allegorie e illustrato da simboli»: senza nulla levare alla morale, che è conditio sine qua non e molto giova al mondo, che senso avrebbe un apparato simbolico così imponente, una serie di rituali così complessi, una così copiosa tesaurizzazione, se l’obiettivo fosse di rendere l’iniziato ciò che dovrebbe essere già prima dell’iniziazione, cioè un «uomo libero e di buoni costumi»?  
Comunque sia, con la leggenda di Hiram e le sue misteriose, ramificate origini egizie, comincia la strada da cui s’avviano gli alti gradi del Rito: Ordo ab chao.

  

 


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