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Maurizio Nicosia
Lalbero che non cè
La simbolica del ramo doro nel rito Scozzese
Sapientiæ humanæ fructus Lignum vitæ est
Il frutto della Sapienza umana è lalbero della vita
Michael Maier, Atalanta fugiens, emblema XXVI
Affrontare immagini, miti e simboli che ruotano intorno allalbero comporta in realtà addentrarsi in una foresta immensa, quando vi si riesce, e quanto mai fitta e intricata. Non vè albero indigeno del Mediterraneo su cui non sabbarbichino grovigli semantici, su cui non siano sbocciati miti, culti e riti. Lavvocato James Frazer, che ai viluppi legislativi preferiva di gran lunga gli arborei, cominciò a interessarsi del ramo doro cantato da Virgilio nel sesto libro dellEneide. Avviata la sua ricognizione antropologica dallo splendido quadro romantico dellInglese Turner, intriso devocative atmosfere sognanti, firmò un secolo fa unedizione sullargomento di dodici volumi. Per i più frettolosi licenziò invece nel 1922 un riassunto in soli due volumi. Jung è riuscito a concentrare i suoi studî su alcuni aspetti della simbologia dellalbero filosofico, cioè lalbero alchemico, in un solo volume. Bastino dunque questi pochi esempî a mostrare quale gigantesco estuario si presenti a chi voglia intraprendere una simile perlustrazione.
Ma vi è anche chi è riuscito a trovare il seme duna materia così imponente, maestosa e ramificata. È il felice caso dellermetista rinascimentale Cesare della Riviera: nel suo testo più noto e allepoca di grande fortuna, Il mondo magico de gli Heroi, gli bastan due righe a suggellare la quintessenza della questione: «Per i Sapienti è cosa chiarissima esser detto Albero nullaltro che loggetto della sapienza umana, proveniente immediatamente da quella divina» (Cesare della Riviera, Il mondo magico de gli Heroi, Milano 1605). È certo che nello scrivere queste due righe avesse dinanzi agli occhi lalbero sefirotico della Cabala ebraica, che dalle radici del Regno innalza le sue fronde sino alla Corona: albero regale dunque, che fissa in dieci ipostasi il manifestarsi divino e cosmico della realizzazione.
Ma è allalbero della vita che Cesare della Riviera allude, quellalbero che serge al centro del paradiso (Genesi, 2, 9), un tempo fulcro di remoti culti sumeri, la cui vista e i cui frutti sono preclusi alluomo decaduto. È questo lalbero che non cè. Esiste tuttavia un secondo albero della vita, riflesso speculare del primo, che è non è altro da «quellantico, tenebroso e indistinto Caos», avverte Cesare della Riviera. Per dirla con il motto che contrassegna il Rito Scozzese, il secondo albero della vita è Ordo ab Chao, la forma che germoglia sullindistinto fondamento della vita stessa. Ai rami di questo secondo albero della vita deve tendere la sua virile mano leroe che voglia giungere alla «rigenerazione regale»: «posto il piede sul limitare di tale impero prosegue della Riviera egli subito si spoglia del manto prezioso e al suo posto si adorna di un altro vestimento, del colore delloro finissimo. Con questo stato sublime si termina lalto magistero delleroe vittorioso e la formazione del Mondo magico», che nel poetico lessico del nostro ermetista coincide con il mondo sottratto allerosione del tempo, lassai arduo obiettivo delliniziazione massonica che riconduce allo stato adamitico precedente la Caduta.
Della Riviera, quanto coloro che lhanno preceduto e seguito, tra i quali rifulge Plotino, vestono dallegorie, metafore e simboli unesperienza reale altrimenti ineffabile, vissuta in piena coscienza, con estrema lucidità e consapevolezza di sé, che per gradi conduce il seme del nostro essere, lo si voglia chiamare io o anima o altro ancora, a purificarsi nel fuoco e infine ad abbeverarsi alla fonte originaria: il centro estasiante, vivido e serenissimo della luce. E sul tronco di questa esperienza reale ramifica la moltitudine diniziazioni simboliche, inclusa la massonica. Ma anche questo argomento farebbe scorrere fiumi di pagine, e poiché esula dalle mie intenzioni il convincere, ci basti per il nostro argomentare rilevare lo stretto connubio tra leroe, la rigenerazione regale o la restituzione allo stato adamitico, e lalbero.
È questa la stessa identica triade, se mè concesso chiamarla così, sottesa al virgiliano ramo doro, rizoma iniziatico che ha costretto a decenni di studî un genuino antropologo positivista come Frazer. Certamente il ramo doro, brano naturalmente di poco conto per la critica contemporanea, fu determinante alla fama di mago che ammantò il poeta latino nel Medioevo, e costituisce il modello, la genesi e la ragione essenziale della Commedia dantesca. LEnea di Virgilio attraversa, vivo, il regno dei morti nelle interiora terrae, le viscere della terra, e vivo ne uscirà: grazie al ramo doro, altro multiforme aspetto dellalbero della vita e stretto congiunto della verga aurea di Hermes. Giunto alla soglia del regno di Plutone, Enea affigge il ramo doro e compiuto il rito può entrare nei Campi Elisi, giardini senza tempo inondati di serena luce, di fiori e boschi, dove dimorano i beati. Qui il padre Anchise spiega alleroe che unica è la fonte, unica è lanima da cui tutte le cose derivano e da cui scaturisce anche lanima individuale, pura e celestiale come la sua origine. E le impurità che accumula durante lesistenza nel corpo la costringono a purificarsi (da pyr, fuoco) sino a ritrovare limmacolatezza originaria. È questo il nucleo essenziale della rigenerazione: liberare lanima dai detriti della quotidianità, dalle plumbee scorie del tempo. E la rigenerazione regale conquistata da Enea sortirà beneficî regali anche sulla sua dinastia, il futuro ceppo originario della Gens Julia; il cerchio così si chiude: limmor-talità promana dunque sin nel mondo sensibile ove si perpetua per generazioni.
Linsegnamento virgiliano, in cui ancora echeggia la dottrina orfica, cioè pitagoricoplatonica della rigenerazione, indica nella purificazione del nocciolo dellessere, che può con proprietà essere definito seme, il punto culminante delliniziazione eroica. Non dovrebbe dunque stupire che Hutchinson, nel suo Spirit of Masonry del 1775, pubblicato col placet della Gran Loggia madre dInghilterra, spieghi il significato nella simbolica massonica, dellalbero che ci ha qui riuniti, lacacia, con la radice greca acacia, equivalente a purezza priva di macchie. Altrettanto laconico Mackey nella sua enciclopedia: lacacia massonica è la Mimosa nilotica del Linneo, e «la sua natura sempre verde ci rammenta limmortalità dellanima libera da macchie». Indicazione che nel termine libera cela una consonanza col trentaquattresimo verso aureo di Pitagora: «Allora, lasciato il corpo, salirai al libero etere. Sarai un dio immortale, incorruttibile, invulnerabile». Anche qui è il caso di precisare che liniziazione reale contempla labbandono del corpo e unascesa, ma non dopo la morte.
Anche chi viene accolto nel Tempio Scozzese, al riparo delle profumate e fruttuose fronde di lauro e dolivo, può scoprire la triade eroe, rigenerazione, albero, purché abbia la pazienza di cercare come leroe virgiliano, e di addentrarsi nelle viscere della terra, che è poi la sostanza stessa dellalbero della vita secondo Cesare della Riviera. Lauro e olivo, le due colonne arboree poste a soglia del viatico scozzese, rivelano anzitutto i tempi della gestazione francese del Rito: fronde dalloro e dolivo adornano infatti le divise dellAcadémie française. Ma scortano latrio del tempio scozzese in quanto infiorescenze di Apollo e Atena, la solare coppia della Sapienza. Lalloro ancor oggi richiama il mito di cui è protagonista: a pronunciarlo in greco, cioè Dafnh (Dáphne), immediata sillumina la scena della fuga che vede Apollo inseguire lamata ninfa. Ancor oggi il lauro, lArbor Phoebi di Ovidio, corona il conseguimento della sapienza che il dio semina e coltiva tramite le sue muse, vestali supreme del culto sapienziale. «La potenza della Muse rammenta Giamblico nella sua Vita pitagorica governa non solo i più nobili principî delle scienze, ma anche laccordo e larmonia delluniverso». Ad Apollo erano consacrati i misteri orfici, al dio dellolimpica misura, padre di Pitagora secondo la Schola italica, nume che regna sulle Isole dei beati, il paradiso pitagorico degli eletti. Il dio che campeggia sulle pareti della basilica pitagorica di Porta Maggiore a Roma; e non poteva essere altrimenti, se lo stesso Pitagora venne definito, per la sua coscia doro, «Apollo iperboreo». Anche il lauro è dunque ramo doro che corona chi compie trionfalmente, da eroe, il viatico sapienziale: lo stesso nome evoca lo scintillìo nemmeno troppo celato del metallo incorruttibile: laurus, aurum, aureus.
Con ancor più decisione la triade eroe rigenerazione albero affiora nellolivo, per la prima volta piantato in Grecia da Atena, come ricordava uniscrizione del Partenone. Il suo succo illuminava duna fiamma più pura, meno densa di fumi e scorie i Templi più sacri dellantichità. Sempre al fianco dAtena e soprattutto sempre al fianco delleroe per eccellenza: Eracle, statua che adorna il tempio massonico di matrice scozzese. Narrava Plinio che a Olimpia si poteva ancora vedere ai suoi tempi «un olivo selvatico i cui rami servirono a incoronare per primo Ercole e che ai giorni nostri è oggetto di venerazione religiosa» (Plinio, Naturalis historia¸ XVI, 240). Leroe, durante la prima delle sue dodici fatiche, aveva intagliato in un olivo selvatico la sua celebre clava e passando un giorno da Trezene laveva appoggiata a una statua di Hermes: immediatamente sera radicata producendo gemme e tramutandosi in albero maestoso. Il mito vuole che Eracle conquisti al drago i pomi aurei del giardino delle Esperidi. Così canta limpresa Euripide nella tragedia consacrata alleroe:venne al giardino posto al confine
dove per noi è sera
per cogliere con la mano dai rami
e tra foglie doro
il frutto a forma di pomo.Non solo i pomi son dunque aurei, tutto lalbero appare doro nella narrazione euripidea. Narrazione che a sua volta è alle origini del ramo doro virgiliano. Infatti il grande, ultimo drammaturgo delletà classica sottolinea in un dialogo tra il padre e il figlio la principale delle trionfali imprese eraclee: la discesa, da vivo, aglInferi:
Anfitrione. Davvero sei disceso nella casa di Ade, figlio?
Eracle. E ho condotto al sole la fiera dalle tre teste (lidra, N.d.A.).
Anfitrione. E lhai vinta battendoti o è un dono della Dea?
Eracle. Lho affrontata e ho avuto fortuna perché avevo assistito ai riti sacri dei Misteri in Eleusi. (i corsivi sono miei, N.d.A.)«Beato sospirava Pindaro a proposito dei misteri eleusini colui che, dopo aver visto simile cosa, arriva sotto terra: egli sa della fine della vita e del suo inizio dati da Zeus». E beato sarà Eracle; la discesa nelle viscere della terra è il necessario prologo alla divinizzazione delleroe, che conclude la sua vicenda mitica cantata nelle Trachinie di Sofocle: salito su una pira, dunque purificato dal fuoco, rimbomba un colpo di tuono ed Eracle viene innalzato al cielo su una nuvola e diviene uno deglImmortali dellOlimpo, sposo di Ebe, leterna giovinezza. La rigenerazione eroica di Eracle ha lasciato vivide tracce anche nella volta celeste, dove la sua costellazione scintilla sotto lorsa minore, tra il Drago, che sconfisse, e la Corona boreale che conquistò. Giamblico ricorda nella Vita pitagorica che era dobbligo per un Pitagorico sacrificare a Eracle nellottavo giorno dogni mese, e libare a tavola in suo nome. Certo perché leroe è larchetipo di chi, son le parole dei Versi Aurei, «lasciato il corpo, ascende al libero etere e diviene un dio immortale, incorruttibile, invulnerabile». Lauro e olivo, dunque, sono altrettanti rami doro per il viatico iniziatico e beato, è il caso di dire, lo Scozzese che li conquista.
Il tempo mimpone di sfrondare, e forse, una volta tanto, spiegare è di troppo. Conviene forse, seguendo Natura, lasciar scorrere la linfa del mito di foglia in foglia; sì che il seme delliniziazione continui a dispiegarsi. Basti solo sottolineare con le parole di Goethe (La metamorfosi delle piante) la profonda alterità che corre tra uomo e albero: «la pianta trova il suo coronamento nella rigidezza e durata dellalbero, e lanimale si nobilita raggiungendo il massimo di libertà e mobilità nelluomo». Ma è alla durata che luomo aspira, allascesa dellasse del mondo, al coronamento in unesi-stenza sottratta al tempo; e ciò che si muove è ineluttabilmente votato alla morte. Perciò luomo ha da trovare un ramo doro, se vuole rigenerarsi.
E chi non ha tali aspirazioni? Si stampi nella mente, come stoico adagio, lamara riflessione del poeta ermetico: « Noi si sta come dautunno sugli alberi le foglie».
Conferenza tenuta nel corso del convegno organizzato dal Rito Simbolico Italiano sulla simbolica dellalbero, in occasione della ripubblicazione della rivista «Acacia».